L’ultimo viaggio di Oscar Wilde in Italia avvenne nel 1900, poco prima della morte e fu pagato da Harold Mellor, un ricco omosessuale che trovava giovamento dalla compagnia dello scrittore irlandese.
Wilde soggiornò presso l’Hotel Centrale, ma a causa della sua omosessualità e delle accuse di sodomia e gross indecency (atti osceni) trovò i “salotti nobili” con le porte sprangate, nonostante opere come “Il ritratto di Lord Arthur Saville” e “L’importanza di chiamarsi Ernesto” erano abbastanza note. Capelli lunghi, un libro e una rosa in mano, il fedelissimo “bastone animato” al fianco Wilde frequentava il Caffè Oreto di piazza Marina dove si recava poco prima delle 17 per consumare una tazza di the, qualche biscotto, leggere alcune pagine dei suoi amati libri e scambiare battute con gli avventori, soprattutto studenti liceali.
Da questo bar Wilde scriveva al compagno:
“Palermo è la città col panorama più bello del mondo. Però trovo curiosi e strani i suoi abitanti. Stupenda è la vallata situata fra due mari, i boschetti di limoni e i giardini d’aranci così perfetti. Molti ragazzotti hanno volti che sanno di grecità, altri proprio da arabi, sembrano tante sculture che girano a cielo aperto” ed aggiunge “da nessuna parte, neppure a Ravenna, ho visto mosaici simili. Nella Cappella Palatina, che dai pavimenti ai soffitti a volta è tutta d’oro, ci si sente come si fosse seduti nel cuore di un enorme nido, guardando gli angeli cantare; e guardare gli angeli, o anche persone che cantano, è molto più piacevole che ascoltarli. Per questa ragione i grandi artisti danno sempre ai loro angeli liuti senza corde, flauti senza aperture di sfogo, e zampogne attraverso le quali nessun fiato può vagare o zufolare.”
Queste e tante altre lettere fanno parte di un opera “The Letters of Oscar Wilde” pubblicata dopo la sua morte da Henry Holt, Rupert Hart-Davi e Merlin Holland che le definì la vera biografia dello scrittore inglese.
Durante il soggiorno siciliano rimase stregato dai giovani cocchieri che lo portarono in giro e all’amico Robert Ross, che vive a Roma, invia missive con dovizia di particolari dei rapporti avuti con un seminarista nella Basilica di Monreale. Scriveva: “A lui ho predetto un cappello cardinalizio, spero che non si dimentichi mai di me”. Riferisce di scambi di baci con il quindicenne Giuseppe Lo Verde fra un confessionale e una maestosa colonna, e anche dietro all’altare maggiore del Tempio dei Re, a pochi passi dalle tombe di porfido rosso di Ruggero II, di Costanza d’Altavilla. E nella missiva all’amico: “Lo Verde è molto dolce, mi bacia con trasporto, gli ho dato molte lire”.
Oscar Wilde, dopo il soggiorno palermitano, rientrava a Parigi dove moriva il 30 novembre 1900, all’età di 46 anni.